
Un convegno della multinazionale di biotecnologie Biogen, a febbraio scorso a Boston, ha radunato 175 persone in una stessa sala congressi: i mesi che sono venuti dopo hanno poi reso la conferenza di Biogen, priva di distanziamento sociale e di precauzioni, una delle ultime nel suo genere, forse per sempre, ma anche, ha ricostruito in queste ore una ricerca sulla rivista Science, uno dei primi «superfocolai» della pandemia, e forse uno dei più importanti. Dei 175 ricercatori radunati nella sala congressi del Marriott Hotel Long Wharf (ora chiuso) il 26 e 27 febbraio 2020, almeno 99 sono poi risultati positivi al Covid-19: nel frattempo, però, erano tutti saliti su aerei e treni, per tornare a casa o viaggiare verso altre conferenze. Secondo l’infettivologo Jacob Lemieux, primo firmatario dell’articolo su Science, la conferenza Biogen potrebbe essere responsabile dell’1,6% di tutti i contagi avvenuti finora negli Stati Uniti, e di 330 mila contagi nel mondo.
Ma come si fa ad averne la certezza? I ricercatori che hanno firmato lo studio si basano sull’analisi delle sequenze di Dna del coronavirus presente nei prelievi di migliaia e migliaia di contagiati: i virus mutano naturalmente, e la somma delle mutazioni che ciascuno porta con sé è come un «passaporto» del virus, che può aiutare a stabilire dove lo si è preso: ad esempio, circa 71 mila dei contagi avvenuti in Florida, a duemila chilometri da Boston e dalla conferenza al Marriott Hotel, hanno lo stesso «passaporto» dei primi 99 contagiati di Biogen. A novembre, scrivono gli autori dello studio su Science, il «passaporto» Biogen era reperibile nel coronavirus di malati australiani, slovacchi, svedesi; finora le stesse mutazioni sono state riscontrate nei malati di 29 Paesi.
11 dicembre 2020 (modifica il 11 dicembre 2020 | 11:50)
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